Il compenso degli amministratori:
fisso mensile o distribuzione degli utili?

Come abbiamo più volte sottolineato, il panorama italiano d’impresa, nell’ambito della ristorazione e non solo, è costituito in gran parte da piccole imprese in cui, talvolta, il ruolo di amministratore si confonde, dal punto di vista retributivo, con quello di dipendente. Spesso infatti, si distribuisce come compenso amministratore un fisso mensile, una sorta di stipendio, mentre si attua molto poco la distribuzione degli utili. Il reddito di un amministratore si compone quindi, molto di frequente, di sole entrate fisse mensili.

Questa politica aziendale porta gli amministratori/soci ad estraniarsi dall’andamento economico dell’attività imprenditoriale perdendo il contatto con il fattore redditività. Fino a che gli eventuali problemi aziendali non mettono a rischio il reddito da loro percepito, la reazione più semplice ed immediata è quella di ignorare piuttosto che affrontare la possibilità di cambiamenti scomodi.

In una s.r.l. i soci-amministratori ricoprono sia il ruolo di lavoratori, sia di proprietari dell’azienda; questa duplice posizione li rende percettori di due tipologie di reddito: un reddito da lavoro, calcolato in relazione al tempo effettivo di lavoro, alle competenze e all’esperienza, e un reddito da capitale, in relazione agli utili prodotti e alla percentuale di quote possedute.

Al contrario però di un reddito da lavoro percepito da un dipendente, quello dell’imprenditore non è tutelato da garanzie sindacali; se l’azienda si trova in perdita, anche quel reddito è a rischio e viene messo in discussione. In mancanza di liquidi infatti, come si può corrispondere il compenso agli amministratori?

Si potrebbe camuffare la perdita aumentando la stima del magazzino, ma si tratterebbe solo di un sotterfugio non in grado di creare effettiva liquidità sul conto corrente!

Ricorrendo al sistema bancario per assicurarsi la loro entrata mensile, i soci firmerebbero a garanzia di un prestito che, in linea di massima, sarebbe al di sopra delle loro effettive possibilità di rientro. Un’operazione del genere sarebbe un po’ come un cane che si morde la coda e avrebbe senso solamente come mezzo d’emergenza per tamponare una situazione di crisi temporanea. In mancanza di un piano effettivo di risoluzione dello stato di perdita, l’azienda non potrà che annegare!

Dall’analisi di alcune situazioni di PMI italiane emergono quindi dei punti fermi senza i quali non si riuscirebbe ad uscire da una condizione critica.

Innanzitutto, per dare una svolta a certe situazioni di stallo, il più delle volte è necessario un input esterno; in molte PMI manca infatti, l’attitudine e la capacità di fermarsi, analizzare la situazione in maniera obiettiva e riorganizzare i processi aziendali. Invece, è necessario riflettere sui piani di sviluppo futuri, piuttosto che ricorrere a palliativi temporanei e, il più delle volte, dannosi come richieste di ipoteche o fideiussioni.

Un mezzo sicuramente utile per pianificare e dare una svolta a situazioni di crisi aziendale, è concentrarsi su un nuovo sistema di controllo di gestione che si orienti ad una visione aziendale anziché personale. Le priorità, in questa nuova ottica, non sono più le urgenze, ma vanno definite in un programma di medio periodo che consenta un’effettiva pianificazione degli obiettivi. In questo nuovo panorama aziendale, l’impresa corrisponderà ai soci ciò che sarà sostenibile per il suo equilibrio finanziario.

Ancora una volta torna quindi l’importanza di un controllo costante e continuo sull’andamento della propria attività d’impresa; solo l’effettiva conoscenza dello stato attuale permette di avere la giusta flessibilità per cambiare prontamente direzione quando la situazione diventa problematica. L’attenzione costante dei soci all’evoluzione aziendale permetterà di non avere brutte sorprese; se infatti, in tempi passati, ci si poteva concedere di contare i guadagni a fine anno, oggi tutto ciò sarebbe anacronistico e, pericolosamente, controproducente.

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